109) "E' COSI' LABILE LA DISTANZA" - FRANCO ZARPELLON | MESTRE (VE)

Non mi venite a dire che ho inventato tutto e nemmeno che l’ho sognato. Sono una persona razionale io, un ingegnere, credo solo a ciò che è reale. Aveva ragione mio nonno quando diceva, niente è più vero di ciò che deve ancora avvenire. Non si riferiva a qualcosa di magico o di immaginario, solo alla potenza della propria volontà. Grande uomo mio nonno, una persona che ha creato la mia ambizione. Non ponetela al negativo, che significa cancellare i sogni? Ha solo saputo indirizzarli. Grazie alle sue parole mi sono laureato e sono diventato direttore di un’importante multinazionale. Ho sposato una donna meravigliosa, figlia di un magnate del petrolio, e assieme a lei ho cresciuto cinque figli ormai maggiorenni. Vivo in una grande casa nel centro di Parigi e posso disporre della migliore servitù. Ho raggiunto quello che volevo, ma ad un prezzo, vivere lontano dalla mia città natale. Poi anche mio nonno se n’è andato e con lui l’ultimo vero legame con Venezia... (segue - totale battute: 9773)

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[ 29 novembre, 2009 ] • [ eureka ]

85) "IL CASO DEL SANTO STEFANO" - MARCO CAPITANI | VIGNOLA (MO)

Quel lunedì mattina che andai al Santo Stefano, una pioggerella fine fine, impalpabile, saturava l'aria di lacrime leggere, di silenzio soffuso e di malinconia sparsa. Avevamo ricevuto una chiamata dalla reception. Volevano sporgere denuncia nei confronti di una cliente che se n'era andata senza saldare il conto, abbandonando in albergo i bagagli e i documenti. Tutti i motoscafi e le barche erano fuori in servizio, come pure l'agente Nolandi, che in quei miei primi giorni di permanenza a Venezia mi faceva da guida. Fui così costretto ad andare a piedi, da solo. Dovetti così camminarea lungo per le strette vie di una città che non conoscevo e che, a ogni svolta, cercava d'imbrogliarmi, portandomi sullo sbocco di un canale o in un vicolo senza uscita. C'impiegai più di un'ora per arrivare. Prima di entrare nell'albergo, indugiai nell'antistante piazzetta, ad osservare la sagoma dell'edificio. Pareva più alto di quel che fosse in realtà, forse perché sorgeva stretto tra due palazzi più tozzi, ma quella non era l'unica sua caratteristica che colpì la mia immaginazione. In quei brevi istanti la mia fantasia mi fece pensare alla facciata di quel palazzo come al viso di un gigante, con la trifora del primo piano che mi ricordava un triplo naso, la doppia fila di finestre gli occhi e le sopracciglia, mentre la porta la immaginai come un'enorme bocca. Quella fantasia infatile durò pochi minuti, sufficienti però a farmi perdere la percezione della realtà. Durante quegli attimi, che mi parvero lunghissimi, ebbi la sensazione di non essere solo, come se ci fosse qualcuno accanto a me; qualcuno che non vedevo, ma di cui sentivo la presenza... (segue - totale battute: 12298)

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[ 12 novembre, 2009 ] • [ eureka ]